mercoledì 18 novembre 2009

LETTERE DALLA PALESTINA 6


Lettera da Betelemme
Giovedi' 15 ottobre 2009
Note sull'incontro con i Parent's Circle

Conoscevo l'Associazione dei familiari delle vittime attraverso due donne, Anat israeliana e Shereen palestinesi che abbiamo ospitato a Bellusco durante l'ultima edizione della Marcia Perugia Assisi.
Ho rivisto Anat ed e' stato come incontrare una vecchia amica. Ho chiesto di Shereen. Sta vivendo un periodo molto duro, i suoi tre fratelli sono in carcere accusati di terrorismo. Lei che fa l'avvocato al servizio dei palestinesi che non si possono permettere difese troppo onerose, non e' capace di far uscire i suoi fratelli in carcere senza precise accuse.
E' entrata nell'associazione dopo che uno dei suoi fratelli e' stato ucciso da un militare israeliano ad un posto di blocco.
Sono storie di persone vere, normali che raccontano, piu' di tante teorie, il bisogno di uscire dalla spirale dell'odio che imprigiona le vittime tanto quanto i carnefici.
Questa e' la strada che loro hanno trovato.
Riconoscersi nella propria umanita' piu' profonda proprio nel luogo dove e' messa a piu' dura prova: il dolore per la perdita di una persona cara strappata alla vita con violenza.
Allora il riconoscimento del dolore dell'altro, uguale al mio, diventa il punto di partenza per tentare di costruire un'altra via alla guerra e all'odio.
("Il colore delle lacrime e' uguale per tutti” dice la donna israeliana. E ancora: “Nessuna terra, anche se sacra, vale piu' del sorriso di un figlio che non vedrete mai piu'”.)
Darsi un'altra possibilita' all'odio non ha niente a che fare con il perdono o con i buoni sentimenti. E' provare a costruire un'altra vita, dare un'altra possibilita' ai propri figli.
"Sono nato in un campo profughi – ci racconta il ragazzo palestinese – mia mamma e' stata in prigione per 5 anni. Vivere li' ti porta ad odiare tutti, porta ad odiare anche te stesso e allora non hai piu' niente da perdere perche' ti sei gia' perso. Puoi decidere, a 18 anni, di farti saltare in aria”.
Decidere di intraprendere altre strade significa rivendicare il diritto alla propria umanita' e alla propria liberta, diritto ad una vita diversa per i propri figli'.
"Sono un essere umano, non saro' mai la vittima del mio assassino. Io sono un uomo libero”.

La donna israeliana ci racconta che l'associazione ha organizzato una visita al Yad Vashem, il museo della memoria dell'olocausto, portando un gruppo di palestinesi.
"E' importante che i palestinesi capiscano cosa significa per un israeliano l'olocausto. Perche' la paura degli israeliani diventa Occasione di paura per i palestinesi”.

Alla fine dell'incontro il ragazzo palestinese e la donna israeliana si abbracciano.
Qualcuno di noi dice che, durante la serata, e' stata rappresentata una realta' un po' romanzata, edulcorata. Che la realta', quella vera, e' diversa. E' fatta di violenze e di soprusi quotidiani e di tanti morti.
Ma e' meno “reale” un abbraccio di riconciliazione di un colpo di fucile che uccide?
Sicuramente quella dei Parent's Circle e' una piccolissima realta' dal punto di vista numerico ma e' enorme per la possibilita' che offre di rompere schemi e spirali che distruggono entrambi i popoli.
Lo e' perche' non e' teoria “pacifista”. E', anche questa, la vita vera delle persone.
Forse noi, io, non crediamo abbastanza alla potenza di queste esperienze perche', dice il ragazzo palestinese “Ci vuole un minuto per uccidere una persona. Ci vuole molto tempo e molto coraggio per superare l'odio e provare a vivere insieme”.

Con tante emozioni e sempre meno certezze, un caro saluto.

Maria Grazia Misani

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