sabato 21 novembre 2009
NIGERIA: UNA TERRA CHE BRUCIA
mercoledì 18 novembre 2009
LETTERE DALLA PALESTINA 6
Giovedi' 15 ottobre 2009
Conoscevo l'Associazione dei familiari delle vittime attraverso due donne, Anat israeliana e Shereen palestinesi che abbiamo ospitato a Bellusco durante l'ultima edizione della Marcia Perugia Assisi.
Ho rivisto Anat ed e' stato come incontrare una vecchia amica. Ho chiesto di Shereen. Sta vivendo un periodo molto duro, i suoi tre fratelli sono in carcere accusati di terrorismo. Lei che fa l'avvocato al servizio dei palestinesi che non si possono permettere difese troppo onerose, non e' capace di far uscire i suoi fratelli in carcere senza precise accuse.
E' entrata nell'associazione dopo che uno dei suoi fratelli e' stato ucciso da un militare israeliano ad un posto di blocco.
Sono storie di persone vere, normali che raccontano, piu' di tante teorie, il bisogno di uscire dalla spirale dell'odio che imprigiona le vittime tanto quanto i carnefici.
Questa e' la strada che loro hanno trovato.
Riconoscersi nella propria umanita' piu' profonda proprio nel luogo dove e' messa a piu' dura prova: il dolore per la perdita di una persona cara strappata alla vita con violenza.
Allora il riconoscimento del dolore dell'altro, uguale al mio, diventa il punto di partenza per tentare di costruire un'altra via alla guerra e all'odio.
("Il colore delle lacrime e' uguale per tutti” dice la donna israeliana. E ancora: “Nessuna terra, anche se sacra, vale piu' del sorriso di un figlio che non vedrete mai piu'”.)
Darsi un'altra possibilita' all'odio non ha niente a che fare con il perdono o con i buoni sentimenti. E' provare a costruire un'altra vita, dare un'altra possibilita' ai propri figli.
"Sono nato in un campo profughi – ci racconta il ragazzo palestinese – mia mamma e' stata in prigione per 5 anni. Vivere li' ti porta ad odiare tutti, porta ad odiare anche te stesso e allora non hai piu' niente da perdere perche' ti sei gia' perso. Puoi decidere, a 18 anni, di farti saltare in aria”.
Decidere di intraprendere altre strade significa rivendicare il diritto alla propria umanita' e alla propria liberta, diritto ad una vita diversa per i propri figli'.
"Sono un essere umano, non saro' mai la vittima del mio assassino. Io sono un uomo libero”.
La donna israeliana ci racconta che l'associazione ha organizzato una visita al Yad Vashem, il museo della memoria dell'olocausto, portando un gruppo di palestinesi.
"E' importante che i palestinesi capiscano cosa significa per un israeliano l'olocausto. Perche' la paura degli israeliani diventa Occasione di paura per i palestinesi”.
Alla fine dell'incontro il ragazzo palestinese e la donna israeliana si abbracciano.
Qualcuno di noi dice che, durante la serata, e' stata rappresentata una realta' un po' romanzata, edulcorata. Che la realta', quella vera, e' diversa. E' fatta di violenze e di soprusi quotidiani e di tanti morti.
Ma e' meno “reale” un abbraccio di riconciliazione di un colpo di fucile che uccide?
Sicuramente quella dei Parent's Circle e' una piccolissima realta' dal punto di vista numerico ma e' enorme per la possibilita' che offre di rompere schemi e spirali che distruggono entrambi i popoli.
Lo e' perche' non e' teoria “pacifista”. E', anche questa, la vita vera delle persone.
Forse noi, io, non crediamo abbastanza alla potenza di queste esperienze perche', dice il ragazzo palestinese “Ci vuole un minuto per uccidere una persona. Ci vuole molto tempo e molto coraggio per superare l'odio e provare a vivere insieme”.
Con tante emozioni e sempre meno certezze, un caro saluto.
Maria Grazia Misani
domenica 15 novembre 2009
LETTERE DALLA PALESTINA 5
Venerdì 16 ottobre 2009
Ci siamo divisi in due gruppi. La prima sorpresa è il nostro accompagnatore, Rotem ( scrivo i nomi per come li capisco) un giovane di 28 anni, appartenente ad un gruppo che ha dato vita al centro di formazione alternativo, molto attivo durante l'ultimo conflitto a Gaza nel diffondere informazioni nel mondo su quanto stava succedendo e che promuove attività di sensibilizzazione e formazione ai giovani che si apprestano al servizio di leva ( di 3 anni), oltre a tante altre iniziative. Rotem durante il suo servizio di leva decide di smettere e si fa un anno e mezzo in carcere. Ancora una volta incontriamo una realtà del dissenso e ci rendiamo conto che sussiste una rete di persone e organizzazioni sociali impegnate nel dialogo e nella pace israelo – palestinese, diffusa e dal mondo occidentale poco conosciuta.
La giornata inizia nella piazza del municipio di Gerusalemme e Rotem ci spiega che attorno a noi c'è un centro di polizia famoso perché è il luogo degli interrogatori, a volte condotti con metodi e pratiche illegali ed un centro per la pace, a dimostrazione che qui le diverse realtà sono sempre compresenti.
Poi ci accompagna nei luoghi della città mostrandoci segni e la realtà dell'occupazione, cioè dove i confini israeliani si sono spostati ad ogni conflitto con i palestinesi e dove ancora si praticano le tecniche di insediamento con lo sfratto delle famiglie palestinesi e l'insediamento di quella israeliana.
E così conosciamo la famiglia Rawi accampata davanti alla loro casa da cui sono stati sfrattati 3 mesi fa. Ci accoglie Marian che ci spiega come e' avvenuto.
Il tono del suo triste e doloroso racconto tradisce la rabbia. Sono stati sfrattati alle 5 di mattina dalla polizia. In casa c'erano 38 persone, di cui 13 bambini , uno nato il giorno prima. I poliziotti con il passamontagna hanno buttato fuori prima i bambini e le donne e poi picchiato i ragazzi e gli uomini. La famiglia non ha potuto portarsi via le proprie cose che sono state gettate in un campo molto distante. Così buttati fuori e buttati via a loro non resta che la protesta , ogni giorno, con tenacia, davanti alla loro casa, ricevendo insulti, visite dalla polizia, e molte altre molestie. Il loro futuro è incerto. La sera rientrano in un albergo pagato dall'autorità palestinese ma non ancora per molto. Poi? La pratica degli sfratti continua e continuerà a produrre un popolo di diseredati.
Terza sorpresa visita ad un grande insediamento, la città di Ma' Ale Adummim, accompagnati da un colono che ha accettato di incontrarci e spiegarci il loro punto di vista. Città nei pressi di Gerusalemme, molto bella, verde, con tutti i servizi e una sua municipalità.
Innanzitutto ci spiega che siamo su territori “disputati” e la città fondata nel 1975 dal governo ( le case degli insediamenti sono tutte costruite dal governo) conta di 40.000 abitanti.
Le famiglie sono state incentivate dal Governo da condizioni favorevoli nel prezzo delle case, minore tassazione e presenza di servizi.
Per arrivarci si percorre una grande strada proibita ai palestinesi ai quali per circolare e muoversi dai villaggi attorno a Gerusalemme verso la Cisgiordania , Israele sta costruendo un grande tunnel. Sono le strade dell' apartheid.
Non risponde a tutte le nostre domande ma dice quanto basta per capire che la loro posizione e' quella dei loro governi. Ritengono questi territori “disputati” ( o liberati) appellandosi a questioni legali ancora aperte, dimenticandosi ovviamente di tutte le risoluzioni ONU che dichiarano queste terre territori occupati. Pronuncia la parola terrorismo per giustificare i propri sistemi di sicurezza ( esercito, polizia, ecc) ed è la prima volta in questi giorni che viene pronunciata. Ora tutte le questioni sono state dette da una parte e dall'altra e alla fine, pur dichiarandoci di opinione contraria alle sue, lo ringraziamo (e lui fa altrettanto) per averci incontrati. Cosa possiamo dire, è stato un dialogo tra sordi o l'inizio di qualcosa? Speriamo ci si possa almeno parlare con chiarezza e rispetto come è avvenuto con lui.
Concludiamo il nostro viaggio pranzando nella tenda di una famiglia beduina della tribù di Jamlin presente su questi territori dalla guerra del 1948 . Allevatori in difficoltà per lo scarso pascolo, vivono anche di altri mestieri: muratori, agricoltori, o lavori presso le colonie.
Abitano in catapecchie costruite ma ci accolgono con un calore ed una felicità sbalorditiva solo per essere andati a visitarli ed aver pranzato insieme. Ci salutiamo con una foto di gruppo.
La sera nella piazza del municipio di Betlemme, ci ritroviamo tutti per una cerimonia di saluto con la città. Poi un bellissimo concerto al pianoforte del maestro Luciano Basso (che ci ha accompagnato in questi giorni) chiude questa intensa giornata di sorprese.
Domani si rientra in Italia. A noi resta la convinzione di essere stati sì nella Terra Santa ma di aver visitato una terra sopratutto sacramentata.
Un caro saluto a tutti/e
Saluti
Danilo Villa
Gandhi
venerdì 13 novembre 2009
LETTERE DALLA PALESTINA 4
giovedì 15 ottobre 2009
Una piccola cerimonia per dare un senso alla visita che faremo, speriamo non da semplici turisti.
Un giovane dell associazione Terra di fuoco, quella che accompagna ogni anno centinaia di giovani ad Aushwitz (ci siamo andati anche noi come CGIL CISL UIL della Brianza) racconta il senso del loro andare ogni anno in uno dei luoghi simbolo dell'olocausto.
Prende la parola la direttrice del museo e un rappresentante del ministero degli esteri israeliano.
Mi rimangono impresse alcune suggestioni che, in ordine sparso, voglio mettere in comune con voi.
1. Innanzitutto la scelta, del museo, di scomporre la grande storia in tante storie. Le storie degli individui, delle famiglie, delle loro case, delle loro vite quotidiane. Il museo è pieno di fotografie di donne, bambini, uomini, anziani. Di case, di feste, di voci e di musiche, di oggetti di lavoro e di studio. La vita normale di persone normali distrutta dalla follia nazista e dall'indifferenza del resto del mondo.
2. La scelta di raccontare la storia dei carnefici e delle vittime ma anche la zona grigia. La zona dell'indifferenza nella quale vive chi decide di non guardarsi intorno e di non prendere posizione, di non indignarsi. Perche non mi riguarda.
3. Dal museo si esce con la voglia di gridare mai più. E’ importante però che questo mai più diventi un mai più per nessuna persona, in nessuna parte del mondo. E un mai più che impegna, oggi, ognuno di noi.
4. Le parole con le quali l'israeliano conclude il suo intervento: “ogni uomo è a immagine di Dio, chiunque ha diritto di esistere”.
Queste parole riecheggiano nella nostra mente soprattutto in chi ha ancora negli occhi l e immagini di un campo profughi.
Ho imparato, in questo viaggio a Gerusalemme prima a Betlemme ora a pormi le domande senza avere la fretta di risposte facili, ma la contraddizione è forte.
5. Un’ultima immagine e' quella all'interno del museo. C'e' una sala con un grande pozzo nero: è l'immagine del baratro nel quale il popolo ebraico si è trovato dopo lo sterminio.
Con questo baratro è ripartito a vivere, questo abisso è ancora presente nella storia collettiva come in tante storie personali.
Questo abisso è parte della storia, e dei problemi e delle contraddizioni di oggi.
Di ieri sera, dell' incontro con le associazioni dei genitori delle vittime, e dell'inaugurazione della nuova sede del sindacato PGFTU, sede regionale di Gerico, vi scriverò domani.
Un abbraccio
Maria Grazia Misani
mercoledì 11 novembre 2009
LETTERE DALLA PALESTINA 3
giovedì 15 ottobre 2009
Non mi e' possibile rendervi conto di tutto, posso solo darvi e spero trasmettervi qualche cosa di significativo. Il resto lo racconteremo in Italia.
Una nota per iniziare. Ci hanno raggiunto M. Grazia Misani e il marito Sandro. Dovevamo incontrarci in mattinata ed invece ci siamo riuniti a mezzogiorno prima della visita al museo della memoria.
Tutto questo perché siamo andati a visitare il campo profughi di SHUs FAT dove opera l'Agenzia per i Rifugiati dell'ONU.
Accolti dal Filippo Grandi Vicecommissario generale dell'Agenzia. Una grande persona, non abbiamo ascoltato un funzionario, un burocrate ma qualcuno che crede e si impegna in quello che fa e ne sente la responsabilità.
Shus Fat e' uno dei 58 campi in Medi Oriente. Ci vivono profughi prodotti da tutte le guerre, ed in particolare dalla guerra dei sei giorni. Istituiti dalla Giordania oggi sono amministrati dall'agenzia delle Nazioni Unite, perché di loro nessun governo se ne occupa, nemmeno l'Autorità Palestinese.
Ci vivono le persone che non sono riuscite in questi anni a comprarsi una casa fuori, insomma i poveri dei poveri rifugiati.
Il campo é la storia del popolo palestinese, delle sue sofferenze, dimenticanze, problematiche complesse alle quali occorre dare una soluzione. Ci sono moltissime famiglie ( ormai generazioni diverse da quelle espulse) che ancora hanno le chiavi delle loro case e attendono di rientrare. L'Agenzia per i Rifugiati e' criticata da ambo le parti: dalle nazioni occidentali per l'accusa di servire a poco, da Israele per essere di impedimento al naturale sviluppo del campo. Schiacciata tra queste assurde accuse comunque opera ed assiste nella scuola nella sanità ed in molti altri servizi di primissima necessità.
La visita colpisce per il degrado e per i rifiuti in strada. Non avendo soldi non possono gestire i rifiuti e quindi li bruciano o li sotterrano quando ottengono permessi per costruire dal comune di Gerusalemme, che illegalmente si e' annesso il campo.
Abbiamo visto l'uso di filo spinato proibito dalla convenzione di Ginevra usato dagli israeliani per separare il campo e per costruire il nuovo posto di blocco ( i famosi check point).
Vi sono 11 posti di blocco attorno alla città di cui solo 4 per palestinesi e rifugiati che possiedono la carta verde e vogliono entrare ( quello con la carta blu entrano dove vogliono).
Ma non e' sufficiente la carta verde per recarsi in città. Ci vuole il permesso di lavoro e se con te viene un figlio un altro documento per lui.
Se poi sei ammalato grave e devi recarti in ospedale a Gerusalemme allora inizia l'ostacolo della burocrazia, inviando fax di richiesta, che poi a loro volta vengono trasmessi ad altri uffici e alla fine ottenuto il permesso l'ammalato deve recarsi da solo, senza accompagnatore in ospedale. Un percorso ad ostacoli che ha già causato due morti al check point.
Ma non finisce qui naturalmente, altri impedimenti ci sono in occasione delle feste religiose ( Ramadan) o per andare a scuola, ecc.
Alla fine cosa abbiamo visto: un quartiere degradato con qualche problema in più? La sensazione e' quella di aver visitato un ghetto, che si e' organizzato al suo interno per sopravvivere ( ci sono attività lavorative minime ovviamente) e amministrato dall'esterno.
Dopo la visita al campo siamo stati al museo delle memoria e alla sera ( senza sosta) abbiamo ascoltato i famigliari israeliani e palestinesi delle vittime del conflitto.
Si sono organizzati in una associazione, sono 500 famiglie che provano a percorrere il duro viaggio verso il perdono, a capire con empatia l'altro punto di vista, a promuovere azioni di riconciliazione e di pace, ad impedire alla rabbia di trasformarsi in violenza.
Tra loro non e' tutto un abbracciarsi e baciarsi. Sono però tutti impegnati ad affrontare i problemi di rapporto tra i due popoli con il pragmatismo di cui Mandela si e' servito per superare la difficile situazione in Sudafrica.
Molte domande della lettera di ieri trovano qui la risposta.
Oggi dovremmo visitare Gerusalemme accompagnati da israeliani e palestinesi sui luoghi dell'espansione coloniale di Israele.
Nel pomeriggio probabilmente M. Grazia vi scriverà raccontandovi della visita al museo della memoria.
Un caro saluto
CGIL Monza e Brianza
domenica 8 novembre 2009
LETTERE DALLA PALESTINA 2
Lettera da Betelemme
Mercoledi 14 ottobre2009
Carissimi, ieri mattina si e' tenuta la conferenza internazionale dal titolo: Il ruolo dell'Europa per il Medio Oriente, presso il centro culturale Notre Dame Center di Gerusalemme.
Subito una nota sul centro culturale; edificio imponente costruito con roccia bianca di cui e' fatta tutta la città. Edificato per ospitare i pellegrini ( i costi non devono però essere troppo modici) e per varie attività.
La conferenza e' stata introdotta da un preludio musicale al pianoforte di auspicio alla pace.
I relatori sono stati tanti: funzionari del governo europeo che si occupano dei problemi israelo-palestinesi, religiosi, rappresentanti di organizzazioni sociali pacifiste e naturalmente gli italiani L. Morgantini, Sergio Bassoli, Flavio Lotti.
Moderatori del dibattito due giornalisti: Eric Salerno del “Il Messaggero” e Paola Caridi di lettera 22.
Si sono pronunciate parole forti fin dall'introduzione di Lotti, che nel ricordare le ragioni della nostra presenza a Gerusalemme motivata per sano realismo e non per buonismo pacifista, cita le convenienze economiche di non gettare 2 miliardi di dollari all'anno senza risolvere nulla.
Questione ripresa dagli interventi successivi, a partire dalla notevole cifra di 13 trilioni di dollari che il mondo ha versato dal 1991, inizio del processo di pace. Si e' cercato di rispondere se è giusto spendere così i nostri soldi oppure è arrivato il momento di smettere o di spendere diversamente i soldi, solo per azioni che vanno nella direzione della costruzione del processo di pace e non per la sicurezza ( armi).
Su questo aspetto ci sono state posizioni diverse, i funzionari europei hanno ricordato che quanto spende l'Europa ( 500 mila euro) supporta l'autorità palestinese nel piano di costruzione dello stato che deve essere realizzato in due anni oltre che pagare gli stipendi ai al personale di sicurezza ecc. Insomma hanno ricordato quanto ci aveva già detto il primo Ministro palestinese.
Altra questione l'hanno sollevata Michael Sabbah, Patriarca emerito di Gerusalemme, e Flaviho ( ONG spagnola) che nei loro interventi hanno parlato di boicottaggi, sanzioni, risarcimenti. Boicottaggio non tanto dei prodotti ma degli accordi internazionali non rispettati da Israele e quindi fine degli aiuti. Sanzioni per l'occupazione in atto. Risarcimenti per i danni della guerra causati alle infrastrutture costruite con i soldi europei.
Ed infine ha fatto molto discutere la posizione espressa da uno scrittore palestinese sullo stato bi - nazionale dove possano vivere ebrei e palestinesi insieme.
A questa posizione molti hanno ricordato la necessità di mantenere la soluzione finale del conflitto entro la formula due stati per due popoli.
Per chiudere vi porto a conoscenza del groviglio di domande che circolano tra alcuni di noi.
La nostra presenza servirà a qualcosa? E' vero come qualcuno ha detto che alimentiamo il turismo pacifista in queste terre dove di visite, conferenze, ecc. sono strapiene? Non e' che ci parliamo tra minoranze pacifiste ininfluenti sui rispettivi governi?
A volte avverti il senso di impotenza e di frustrazione davanti all'enorme complessità dei problemi e nascono domande serie, non inutili, come queste.
Oggi il programma prevede visita al museo Yad Vaschem e poi incontro -manifestazione per la pace con i famigliari delle vittime palestinesi e israeliane, ovviamente a Gerusalemme.
Saluti
Danilo Villa
Ufficio Politiche Sociali
"La nonviolenza e' il primo articolo della mia fede. E' anche l'ultimo articolo del mio credo"
Gandhi
martedì 3 novembre 2009
Lo SPI CGIL di Lissone in Piazza per una raccolta di firme su una proposta di legge di iniziativa popolare sull’APPRENDIMENTO PERMANENTE
Come in tutte le altre realtà nazionali, anche a Lissone mediante lo SPI – CGIL vi sarà nella prima settimana di novembre e precisamente il 7 in piazza Libertà, una raccolta di firme per una Proposta di legge popolare sull’Apprendimento Permanente.
La decisione della CGIL di raccogliere le firme necessarie per far giungere in Parlamento una proposta di legge sul diritto all’apprendimento permanente, nasce dall’esigenza ormai improrogabile di superare il ritardo italiano rispetto alle strategie europee messe in campo.
L’Italia è uno di pochi paesi europei a non essersi dotata di una legislazione specifica in materia.
La CGIL insieme al Sindacato della F.L.C., F.P., SPI e AUSER, ha promosso questa iniziativa conscia del ritardo italiano che pone limiti oggettivi per un migliore sviluppo complessivo del Paese e:
Perché convinta che informazione e conoscenza sono valori sempre più importanti nella nostra società
Perché è un ammortizzatore sociale attivo, che aiuta i lavoratori investendo sulla loro cultura e sul loro sapere
Perché ci fa diventare cittadini attivi, contrastando il populismo e l’esclusione sociale creata dalle nuove povertà
Perché difende il valore della scuola pubblica e ci farà superare il deficit formativo che ci divide dal resto dell’Europa
Perché migliora il nostro paese rendendolo più moderno e competitivo grazie all’innovazione continua
Perché ci farà stare a testa alta in un’Europa dove la cultura ed il sapere sono lo strumento di crescita e di uguaglianza dei suoi cittadini
VI ASPETTIAMO NUMEROSI