Lettera da Betlemme
giovedì 15 ottobre 2009
giovedì 15 ottobre 2009
Raggiungo la delegazione della Tavola davanti al Museo YAD VASHEM.
Una piccola cerimonia per dare un senso alla visita che faremo, speriamo non da semplici turisti.
Un giovane dell associazione Terra di fuoco, quella che accompagna ogni anno centinaia di giovani ad Aushwitz (ci siamo andati anche noi come CGIL CISL UIL della Brianza) racconta il senso del loro andare ogni anno in uno dei luoghi simbolo dell'olocausto.
Prende la parola la direttrice del museo e un rappresentante del ministero degli esteri israeliano.
Mi rimangono impresse alcune suggestioni che, in ordine sparso, voglio mettere in comune con voi.
1. Innanzitutto la scelta, del museo, di scomporre la grande storia in tante storie. Le storie degli individui, delle famiglie, delle loro case, delle loro vite quotidiane. Il museo è pieno di fotografie di donne, bambini, uomini, anziani. Di case, di feste, di voci e di musiche, di oggetti di lavoro e di studio. La vita normale di persone normali distrutta dalla follia nazista e dall'indifferenza del resto del mondo.
2. La scelta di raccontare la storia dei carnefici e delle vittime ma anche la zona grigia. La zona dell'indifferenza nella quale vive chi decide di non guardarsi intorno e di non prendere posizione, di non indignarsi. Perche non mi riguarda.
3. Dal museo si esce con la voglia di gridare mai più. E’ importante però che questo mai più diventi un mai più per nessuna persona, in nessuna parte del mondo. E un mai più che impegna, oggi, ognuno di noi.
4. Le parole con le quali l'israeliano conclude il suo intervento: “ogni uomo è a immagine di Dio, chiunque ha diritto di esistere”.
Queste parole riecheggiano nella nostra mente soprattutto in chi ha ancora negli occhi l e immagini di un campo profughi.
Ho imparato, in questo viaggio a Gerusalemme prima a Betlemme ora a pormi le domande senza avere la fretta di risposte facili, ma la contraddizione è forte.
5. Un’ultima immagine e' quella all'interno del museo. C'e' una sala con un grande pozzo nero: è l'immagine del baratro nel quale il popolo ebraico si è trovato dopo lo sterminio.
Con questo baratro è ripartito a vivere, questo abisso è ancora presente nella storia collettiva come in tante storie personali.
Questo abisso è parte della storia, e dei problemi e delle contraddizioni di oggi.
Di ieri sera, dell' incontro con le associazioni dei genitori delle vittime, e dell'inaugurazione della nuova sede del sindacato PGFTU, sede regionale di Gerico, vi scriverò domani.
Un abbraccio
Maria Grazia Misani
Una piccola cerimonia per dare un senso alla visita che faremo, speriamo non da semplici turisti.
Un giovane dell associazione Terra di fuoco, quella che accompagna ogni anno centinaia di giovani ad Aushwitz (ci siamo andati anche noi come CGIL CISL UIL della Brianza) racconta il senso del loro andare ogni anno in uno dei luoghi simbolo dell'olocausto.
Prende la parola la direttrice del museo e un rappresentante del ministero degli esteri israeliano.
Mi rimangono impresse alcune suggestioni che, in ordine sparso, voglio mettere in comune con voi.
1. Innanzitutto la scelta, del museo, di scomporre la grande storia in tante storie. Le storie degli individui, delle famiglie, delle loro case, delle loro vite quotidiane. Il museo è pieno di fotografie di donne, bambini, uomini, anziani. Di case, di feste, di voci e di musiche, di oggetti di lavoro e di studio. La vita normale di persone normali distrutta dalla follia nazista e dall'indifferenza del resto del mondo.
2. La scelta di raccontare la storia dei carnefici e delle vittime ma anche la zona grigia. La zona dell'indifferenza nella quale vive chi decide di non guardarsi intorno e di non prendere posizione, di non indignarsi. Perche non mi riguarda.
3. Dal museo si esce con la voglia di gridare mai più. E’ importante però che questo mai più diventi un mai più per nessuna persona, in nessuna parte del mondo. E un mai più che impegna, oggi, ognuno di noi.
4. Le parole con le quali l'israeliano conclude il suo intervento: “ogni uomo è a immagine di Dio, chiunque ha diritto di esistere”.
Queste parole riecheggiano nella nostra mente soprattutto in chi ha ancora negli occhi l e immagini di un campo profughi.
Ho imparato, in questo viaggio a Gerusalemme prima a Betlemme ora a pormi le domande senza avere la fretta di risposte facili, ma la contraddizione è forte.
5. Un’ultima immagine e' quella all'interno del museo. C'e' una sala con un grande pozzo nero: è l'immagine del baratro nel quale il popolo ebraico si è trovato dopo lo sterminio.
Con questo baratro è ripartito a vivere, questo abisso è ancora presente nella storia collettiva come in tante storie personali.
Questo abisso è parte della storia, e dei problemi e delle contraddizioni di oggi.
Di ieri sera, dell' incontro con le associazioni dei genitori delle vittime, e dell'inaugurazione della nuova sede del sindacato PGFTU, sede regionale di Gerico, vi scriverò domani.
Un abbraccio
Maria Grazia Misani
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